La piramide Cestia
Caio Cestio, (morto tra il 18 e il 12 a.C.) pretore, tribuno della plebe e membro del collegio dei septemviri epulones, gli organizzatori dei banchetti sacri (epulae), giunto quasi al termine della sua vita terrena, volle far realizzare per sé un monumento funerario degno di quelli che aveva ammirato nei suoi viaggi in Egitto: una piramide. Tutto questo, o quasi, ci viene detto dall’iscrizione ripetuta sui lati est e ovest del monumento a lui dedicato e, anzi, ci dice qualcosa in più: agli eredi furono necessari 330 giorni per completarlo.
Tutte queste informazioni, però, non impedirono ad alcuni, nel corso dei secoli, di prendere un clamoroso abbaglio: lo stesso Petrarca, infatti, riconobbe in questo monumento la Meta Remi, ingannato forse dalla forma acuminata che aveva collegato ad un sepolcro simile, la cosiddetta Meta Romuli, situato nella zona dell’attuale via della Conciliazione e demolito nel 1500 per la costruzione del Borgo Alessandrino.
La base misura 29,47 metri e l’altezza 36,80 metri e sorge su un basamento di blocchi di travertino situato ben al di sotto dell’attuale piano stradale. È più ripida rispetto alle piramidi egizie grazie alla struttura interna in opera cementizia ed è rivestita di blocchi di marmo di Carrara. All’interno, come tutte le piramidi che si rispettino, è presente una camera sepolcrale, di 4 metri per 6, coperta da una volte a botte e decorata da pitture parietali a pannelli, raffiguranti vasi e offerte mentre nella volta sono rappresentati Genii con bende in mano.
Il traffico circostante e appunto la sopraelevazione della via Ostiense, ci impedisce di assaporare al meglio la visione del monumento e dunque conviene entrare nel vicino cimitero acattolico e gustare in quell’oasi di silenzio di una veduta tra le più belle. Da lì è possibile osservare anche due delle colonne che erano posizionate ai quattro angoli della piramide, trovate rotte durante lo scavo e il restauro del 1663 voluto da papa Alessandro VII (1655-1667) e da lui fatte rialzare. Sotto l’iscrizione originaria, è presente proprio quella riferita al restauro voluto dal pontefice, che fece anche realizzare un corridoio d’accesso alla camera sepolcrale e l’entrata che oggi vediamo alla base. In quella occasione vennero trovati anche due piedistalli con iscrizioni molto simili tra loro recanti le ultime volontà di Caio Cestio: questi desiderava essere sepolto insieme alle sue preziose vesti tessute in oro, realizzate a somiglianza di quegli arazzi, denominati attalici, inventati da Attalo, re di Pergamo. Ma in quel tempo c’era una legge che vietava tale ostentazione del lusso e allora gli eredi vendettero tali vesti per finanziare la costruzione di una statua colossale in bronzo che eressero davanti al sepolcro. Ora quei due piedistalli, sopra uno dei quali, al momento del ritrovamento, stava ancora fisso un piede della statua, sono ai Musei Capitolini.
Nel III secolo d.C., sotto la spinta delle invasioni barbariche, l’imperatore Aureliano (270-275) decise la costruzione della terza cinta muraria della città in ordine di tempo, la prima dopo 500 anni. I lavori iniziarono nel 271 d.C. e occuparono le maestranze cittadine per un periodo compreso tra i diciotto mesi e i due anni al massimo e per ridurre al minimo i tempi furono inglobati nel tracciato edifici già esistenti tra i quali, appunto, la piramide Cestia.
Nel dicembre del 2014, il restauro finanziato dal magnate della moda giapponese, Yuzo Yagi, ha riportato all’antico splendore, dopo 327 giorni di lavoro, i 2.264,94 metri quadrati di marmo di Carrara e per fortuna, a differenza di Alessandro VII, senza lasciare sulla superficie nessuna iscrizione commemorativa dell’evento.
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