La danza degli storni
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar(Giosuè Carducci, San Martino)
Tra ottobre e novembre in alcune zone di Roma il cielo al tramonto diventa nero per le centinaia di migliaia di esemplari di storni che tornano in città per dormire. Lo Sturnus vulgaris, questo il suo nome scientifico, misura circa 20 cm, ha un peso che varia dai 70 ai 100 g, e un’apertura alare che arriva fino a 37 cm.
È il periodo della migrazione, dai paesi del nord Europa verso le calde coste africane anche se negli ultimi anni in paesi come la Germania, il Regno Unito e i Paesi Scandinavi, la sua popolazione è diminuita anche del 50%, mentre nei Paesi più caldi come Francia, ma soprattutto Spagna e Italia, è in aumento e si va a sommare a un numero sempre maggiore di popolazione stanziale.
Lo storno trascorre le giornate in campagna, dove si nutre di olive, semi e insetti e all’imbrunire entra in città per dormire sugli alberi anche a migliaia, perché l’ambiente è più caldo a causa dell’asfalto, dell’illuminazione e degli alti palazzi che costituiscono un’ottima barriera contro il vento.
E lo fa in gruppi numerosi, vere e proprie nuvole nere, che sembrano spostarsi spinte dal vento, come scrive Dante nel V Canto dell’Inferno (37 – 45) a proposito delle anime dei lussuriosi
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
Ma più che spinti a caso dal vento, sembrano banchi di sardine, che mettono insieme le loro fragilità creando un unico blocco in movimento che li difende dall’attacco dei predatori, perché si sa: l’unione fa la forza.
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