San Filippo e le sette chiese
San Filippo Neri, in occasione del Giubileo del 1550, diede inizio alla cosiddetta «carità romana» come segno tangibile dell’accoglienza verso i pellegrini.
Una carità fatta non solo di pane. Due anni dopo infatti, Filippo, definito il “santo della gioia” o santo del “buon umore”, ufficializza la pratica di un pellegrinaggio storico, che rientra tra le più antiche tradizioni romane: il pellegrinaggio delle Sette Chiese.
Un itinerario di fede e spiritualità che il sacerdote di origini toscane decide di istituire e celebrare in una precisa di data inizio: il giovedì grasso del 1552. Proporre un cammino di devozione ai luoghi più santi della città, meditando sulla Passione di Cristo, per contrastare i festeggiamenti smodati del carnevale romano del tempo. “Le sette chiese”, così lo chiamano ancora oggi i romani, è un percorso di circa 25 chilometri, che si snodava, allora come oggi, lungo tutta la Città Eterna. Si parte da San Pietro per toccare altre sei basiliche: San Paolo, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le mura e, ultima tappa, Santa Maria Maggiore. In origine i pellegrini impiegavano una giornata intera per completare il giro, dai primi Vespri, a quelli del giorno successivo, oppure si dedicava il primo giorno a San Pietro e quello seguente alle altre sei basiliche. In ciascuna si veneravano sette altari “privilegiati”, cioè dotati di speciali grazie e indulgenze: la basilica Vaticana fu la prima a possedere questo tesoro, che fu poi esteso alle altre chiese.
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