Una corsa a Capannelle
“Voglio essere sepolto vicino all’ippodromo… per sentire la volata sulla dirittura d’arrivo”
Charles Bukowski
Esistono tre tipi di scommettitori di cavalli secondo il filosofo spagnolo Fernando Savater, frequentatore fin da bambino degli ippodromi e innamorato delle corse al galoppo: quello che scommette col proposito di fare soldi, con metodo, con combinazioni che prendono in considerazione tutti i partenti, che non guarda nemmeno la gara e aspetta sul totalizzatore l’ordine d’arrivo come l’estrazione dei numeri del lotto; poi c’è quello che lui definisce il “saggio”, quello che “ve l’avevo detto”, per il quale la corsa è una mera dimostrazione della propria capacità di analisi e della considerazione di tutti i fattori che potrebbero incidere nella scelta del pronostico. E quando perde è sempre per colpa di una variabile incontrollata. Per ultimo, c’è il romantico che, secondo Savater, non scommette per guadagnare o per accreditarsi come esperto, bensì per dimostrare a se stesso se è, o no, in stato di grazia: se vince, tutto gli è possibile, ma se perde, vuol dire che il destino gli ha girato le spalle; la corsa per lui diventa una sorta di giudizio divino.
Forse è proprio l’ultima figura quella che calza di più ai protagonisti di Febbre da Cavallo di Steno, che pur dietro ai mille calcoli, alla ricerca spasmodica del favorito, scommettono per dare una scossa alla propria vita: vincere non tanto per i soldi ma per dimostrare agli altri e forse soprattutto a se stessi di non essere più dei perdenti.
È lo stesso di Gigi Proietti, nel monologo finale del film, a definire il giocatore di cavalli:
“Chi gioca ai cavalli è un misto, un cocktail, un frullato de robba, un minorato, un incosciente, un regazzino, un dritto e un fregnone, un milionario pure se nun c’ha na lira e uno che nun c’ha na lire pure se è milionario. Un fanatico, un credulone, un buciardo, un pollo, è uno che passa sopra a tutto e sotto a tutto, è uno che ‘mpiccia, traffica, imbroglia, more, azzarda, spera, rimore e tutto per poter dire: Ho vinto! E adesso v’ho fregato a tutti e mo’ beccate questa… tié!. Ecco chi è, ecco chi è il giocatore delle corse dei cavalli”
“Non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo, è la differenza di opinioni quella che rende possibili le corse dei cavalli”
Mark Twain
E così, sulle tracce di Savater e Steno, ecco un pomeriggio all’Ippodromo delle Capannelle, che dal 2014 – anno di chiusura di quello di Tor di Valle – ospita anche le gare di trotto oltre a quelle di galoppo. Inaugurato nel 1881, fu ricostruito nel 1926 e oggi è sede anche di manifestazioni di intrattenimento, come spettacoli circensi e concerti. Il toponimo ‘’Capannelle’’ deriva dalla presenza, nell’Ottocento, presso il bivio tra la via Appia Nuova e la via Appia Pignatelli, di due capanne caratteristiche dell’agro romano, fatte di legno e di frasche, dove i viandanti potevano trovare ristoro e bere un bicchiere di vino.
“Me sembra de sta’ all’ippodromo de le Capannelle! Ma fateme capi’… So’ un cavallo vincente o piazzato?“ (Rino Gaetano, Festival di Sanremo del 1978)
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