Guarda, il Colosseo!
È allo stesso tempo uno dei simboli più conosciuti del mondo e il più snobbato dagli stessi abitanti della città che lo ospita. Una volta era il centro della vita e della morte di Roma e poi con il passare dei secoli si è spogliato della sua grandezza, del suo stesso marmo per rivestirsi di capperi e di mirto, di fiori e di erbe selvatiche. Con le sue pietre sono stati costruiti interi palazzi della città e tra i suoi anfratti hanno trovato sede stalle e botteghe, ricoveri e cappelle. Fino a diventare il centro di una grande rotonda attorno alla quale girano studenti e lavoratori che difficilmente alzano lo sguardo dai propri smartphone.
È il Colosseo, o Anfiteatro Flavio, costruito lì dove c’era un lago, quello della Domus Aurea di Nerone che con la sua colossale statua di bronzo dorato gli diede il nome con il quale è conosciuto in tutto il mondo.
Si potrebbe dire che quando vivi in mezzo alle meraviglie finisci per darlo per scontato, almeno fino a quando lo scopri sotto una luce diversa, magari quella del tramonto che dall’Arco di Tito, sfiorando le colonne del tempio di Venere e Roma, arriva a ricoprire d’oro il suo marmo e di rosa le nuvole di un cielo sorretto dai suoi archi.
Verso sera ci recammo al Colosseo; era già quasi buio. Quando si contempla una cosa simile, tutto il resto appare un’inezia. È così grande che la mente non riesce a comprenderlo in sé; piccola è l’immagine che la memoria ne serba e, quando si torna a vederlo, fa l’effetto d’esser più grande di prima.
(Johann Wolfgang Goethe)
Il Colosseo è come il teschio di Argo: nelle occhiaie vuote
gli nuotano le nubi, ricordo dell’antico gregge.
(Iosif Brodskij, “Elegie romane”)
Vedo una gran cerchia d’archi, e tutt’intorno giacciono pietre infrante che furono parte un tempo di una solida muraglia. Nelle fessure e sopra le volte cresce una foresta di arbusti, olivi selvatici, e mirti, e rovi intricati, e malerbe confuse… Le pietre sono massicce, immense, e sporgono l’una sull’altra. Vi sono terribili fenditure nelle mura, e ampie aperture da cui si vede il cielo azzurro…
(Percy Bysshe Shelley)
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